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Gli Stringozzi
Gli strangozzi sono una pasta lunga a sezione rettangolare, tipica del comprensorio Folignate-Spoletino ma diffusi anche in tutta l’Umbria, nelle Marche nel Lazio e Abruzzo.
Sono chiamati anche, a seconda delle zone, stringozzi, strengozzi, strongozzi, nel perugino vengono chiamati umbricelli e nel ternano sono conosciuti come ciriole, o manfricoli.
L’aspetto è simile a quello dei tagliolini ma, a differenza di questi, sono più spessi e senza uovo.
Prodotto “povero” che, secondo la scheda di prodotto agroalimentare tradizionale, va realizzato a mano stendendo una sfoglia, spessa circa 2 mm, di pasta di farina di grano tenero, acqua ed eventualmente sale. La sfoglia è poi tagliata a strisce di circa 3/4 mm di larghezza e la lunghezza di circa 30 cm.
Il prodotto viene realizzato anche artigianalmente con semola di grano duro, tramite un processo di estrusione o laminazione, e ammatassato nella tipica forma ad 8.
Come mai gli Stringozzi A Tornimparte ????
’’Durante il periodo romano erano presenti vari centri abitati nel territorio di Tornimparte, come testimoniano vari cippi funerari rinvenuti in Villagrande, Colle S. Vito, Piè la Villa, Rocca Santo Stefano. Sembra inoltre che la località Castiglione , data la sua posizione strategica, abbia ospitato un insediamento amiternino.
E’ proprio a partire da questi insediamenti che, nel Medioevo, sorgeranno i paesi di Tornimparte nella fisionomia attuale.
Con la caduta dell’Impero Romano le popolazioni della valle dell’Aterno furono esposte ai saccheggi dei Longobardi che, tra le altre rasero al suolo le città di Amiterno e di Aveia.
Si può quindi verosimilmente supporre che anche Tornimparte dovette subire le scorrerie delle orde longobarde.
Il passaggio dei Longobardi è testimoniata dalla presenza massiccia del cognome Massari che deriva dal toponimo longobardo massa; inoltre il nome della frazione Colle Farelli deriva dal toponimo longobardo fara .
Al tempo della dominazione longobarda Tornimparte faceva parte del ducato di Spoleto, precisamente apparteneva al gastaldato Amiternino,,
Da qui la diffusione di questo piatto così particolare, raccontano i vecchi del paese ’’che essendo una pasta molto povera era di facile preparazione per tutti…’’ , nasce così l’idea di riportala sui tavoli alla Festa del contadino.
Ricordiamo che :
La forma è molto simile a quella delle stringhe in cuoio da scarpe, dal cui nome si pensa derivi quello degli stringozzi. Esiste anche una leggenda secondo la quale le stringhe venivano usate, al tempo dello stato Stato Pontificio, dagli anticlericali per strangolare i prelati da qui la confusione con il prodotto chiamato strozzapreti; quest’ultimo è del tutto diverso essendo lungo circa 8 cm a forma di S, ottenuto dall’estrusione di un impasto all’uovo.
La capra alla cottora
La capra alla cottora o più conosciuta come “alla neretese” è una specialità agroalimentare del territorio dei comuni di Nereto, Torano Nuovo, Corropoli, Controguerra, Sant’Omero, Ancarano e Colonnella, tutti in provincia di Teramo.
Il prodotto, con carni di colore rosso ambrato, viene presentato con sugo di pomodoro accompagnato da peperoni rossi fritti su un tegame separato.
La capra alla neretese, dagli anni Sessanta in poi, ha fatto confluire a Nereto e d’intorni estimatori dall’intero Abruzzo, dalle Marche ed anche da località più lontane. Prendendo spunto da questi antichi e mai tramontati fasti, la capra alla neretere è ormai l’indiscussa icona gastronomica di quella zona.
In molti vi chiederete cosa c’entra con il contadino…
Agli inizi degli anni ottanta il commercio con la zona di Corropoli, Nereto,Sant’omero,contro guerra,colonnella diventava sempre piu’ forte e continuo, legna, ovini venivano scambiati con grano e buon vino molti floridi in quella zona.
Il pioniere di quelle zone, Feliciangeli Vittorio, conosciuto da tutti come “L’Aquilano” non tardò molto a farsi molti amici instaurando un forte con il territorio costiero.
Da qui iniziarono i soggiorni anche di molte altre persone, ragazzi, amici che lo accompagnavano nei sui lunghi viaggi ( molte volte si passava per le capannelle), soprattutto nel periodo estivo era sempre una Sagra…
Proprio in queste serate si conobbe questo piatto tanto raffinato che veniva servito in tutte le manifestazioni con cura maniacale, delicatezza e profondi sapori ne fecero uno dei piatti maggiormente apprezzato da tutti.
Si inizio cosi a riproporlo anche in paese cercando di riproporre agli amici con grande impegno quella pietanza tanto apprezzata.
Tralasciata per anni viene riproposta alla Festa del contadino…
La pecora alla cottora
La pecora alla callara (nel teramano) o pecora alla cottora o JU cutturù (nell’aquilano) è un’antica ricetta tipica della tradizione abruzzese, diffusa soprattutto nella fascia montana, in particolare nell’Aquilano e nel Teramano.
Il piatto risale, secondo una ipotesi, ai tempi della transumanza quando, lungo il cammino dagli Abruzzi al Tavoliere delle Puglie, i pastori consumavano le pecore morte di fatica oppure quelle azzoppate o ferite, cuocendole in appositi paioli di rame, detti appunto cotturo o callara, sorretti da un treppiede e un gancio sopra il fuoco vivo di legna.
Una seconda teoria fa risalire la tradizione della callara all’atto di gratitudine che veniva fatto dal o dai proprietari delle pecore ai pastori di ritorno dalla Puglia con le greggi.
Qualunque sia la verità sull’origine del piatto, per quanto riguarda la preparazione questa ha subito nel corso del tempo alcune varianti e data anche la vastità delle zone interessate, diverse sono anche le piccole differenze di ricetta da paese a paese, generalmente comunque due sono le versioni principali della ricetta.
In entrambi i casi la preparazione dura dalle quattro alle sei ore, poiché questo permette di fare in modo che la carne della pecora, che è abbastanza dura, arrivi fin quasi a sciogliersi.
Durante la cottura che deve essere effettuata con fuoco medio forte e costante, bisogna fare attenzione a schiumare il liquido in cui viene cotta la carne, questo, perché il grasso della pecora durante la cottura tende a sciogliersi e a fare dei grumi.
Essendo un piatto povero e tipico della montagna e dei luoghi aperti, durante la cottura debbono essere inserite tutte le erbe che i pastori trovavano e quindi il timo, l’alloro, il rosmarino, la cipolla, il peperoncino.
Ritornando alle due tipologie generali di ricetta, bisogna dire che queste differiscono per un semplice motivo, in un caso viene utilizzato abbondante sugo, leggermente allungato con acqua che si addenserà intorno alla carne e alle erbe durante la cottura, nel secondo invece non si usa il sugo ma viene creato una sorta di brodo.
Tradizione vuole che venga consumata in comune e intorno al fuoco, bagnando il pane (meglio se del giorno prima) nella pentola usata per la cottura, tuttavia oggi nelle varie sagre questo non viene più fatto.
La nostra ricetta viene tramandata di generazione in generazione, custodendo gelosamente i trucchi e gli ingredienti che la rendono cosi’ speciale.
Zuppa Contadina di Legumi
Per lungo tempo i legumi hanno rappresentato uno dei cardini dell’alimentazione contadina tanto da essere stati definiti la “carne dei poveri”.
Per la loro capacità di fornire un buon nutrimento e per la lunga conservazione a cui possono essere sottoposti dopo l’essiccazione, i legumi hanno accompagnato la tavola dell’uomo per millenni.
Già gli antichi Egizi, i Greci e i Romani consumavano i legumi e, durante il Medio Evo, essi hanno addirittura svolto un ruolo di primo piano salvando popolazioni intere da carestie e fortificando l’uomo durante le frequenti epidemie.
I legumi sono rimasti comunque cibo per le classi più povere fino alla Rivoluzione Francese, epoca in cui sono divenuti un ingrediente prezioso da destinare all’aristocrazia e alla nobiltà.
Ancora oggi i legumi rappresentano un alimento fondamentale delle nostre tavole, riscoperti fortunatamente negli ultimi anni in cui l’attenzione ad una cucina più creativa ma contemporaneamente sempre più vicina al territorio è andata proponendosi sempre più frequentemente.
I legumi contengono soprattutto proteine (diverse da quelle fornite dalla carne in quanto mancano gli amminoacidi isolforati propri delle proteine animali ed importanti per il nostro organismo), carboidrati, i grassi cosiddetti “buoni” tra cui gli Omega-3 e gli Omega-6, le fibre insolubili (che regolano la funzione intestinale) e quelle solubili (che tengono bassi i livelli di glucosio e di colesterolo nel sangue), i sali minerali (soprattutto fosforo, potassio, magnesio e ferro), le vitamine e le sostanze antiossidanti.
Questa ricca “carne dei poveri” diventava una gustosissima zuppa per i contadini, veniva preparata al mattino, prima di uscire per il lavoro nei campi, mettendo in una pentola di terracotta l’acqua ed i legumi e lasciandola cuocere lentamente sulle braci del camino.
Nella zuppa di legumi era abitudine aggiungere anche il lardo del maiale, i cereali ed il pane raffermo, insomma tutti quegli alimenti di facile reperibilità nella povertà della società contadina.
I legumi possono essere consumati freschi nei periodi di primavera /estate, essiccati durante tutto l’anno, e utilizzati per minestre, brodi, creme, zuppe oppure trasformati in farine per la preparazione di pani e/o dolci; in commercio inoltre, li troviamo surgelati o in barattoli già cotti per un pronto uso.
Negli ultimi decenni si sta assistendo ad un vero e proprio incremento della loro coltivazione e consumo; le nuove generazioni stanno riscoprendo i sapori della terra, c’è un forte ritorno al consumo dei suoi prodotti, alla coltivazione biologica lontana da pesticidi e veleni chimici, e alla riscoperta delle antiche ricette di una tradizione culinaria povera ma tanto ricca di sapori e salubrità.
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 68^ sessione (Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura-FAO) ha proclamato il 2016 come Anno Internazionale dei Legumi con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sui benefici nutrizionali dei legumi nel contesto di una produzione di cibo sostenibile finalizzata alla sicurezza alimentare e nutrizionale, cioè far un miglior uso delle loro proteine nelle catene del cibo, espanderne la produzione globale, utilizzare al meglio la rotazione delle colture e affrontarne le sfide del commercio.
Non poteva quindi mancare nella nostra sagra contadina il piatto contadino per eccellenza: la zuppa.
La nostra zuppa contadina ha voluto incontrare le esigenze di un pubblico variegato, ossia abbiamo pensato alle persone intolleranti al glutine/celiache e alle persone vegane, pertanto, viene accuratamente preparata utilizzando tante varietà di legumi freschi o essiccati provenienti dal nostro territorio (senza cereali), olio extravergine di oliva (non vi è lardo o pancetta o guanciale o altro di origine animale), e conservandone la lenta cottura e gli antichi sapori.